Giudice di Pace di Bologna, Sentenza 23 aprile 2012 n. 3.177 est. Avv. Mesoraca. Qualora,  in una fattispecie per la quale sarebbe astrattamente applicabile la procedura cosiddetta di indennizzo diretto, il danneggiato decida di indirizzare la richiesta di risarcimento al responsabile ed alla di lui compagnia assicurativa, tale decisione è leggitima e conforme sia al tenore letterale dell’art. 149 C.d.A., sia al precetto della nota sentenza C. Cost.  180/09. La duplicità di azioni (nei confronti dell’assicuratore del danneggiato e di quello del responsabile) risponde peraltro al pricipio informativo (maggiore tutela del danneggiato) espresso dal legislatore delegante.

L’intervento volontario effettuato dall’assicuratore del danneggiato nella causa da questi intentata all’assicuratore del danneggiante non risulta legittimo. In primo luogo esso non è previsto dalla legge (che all’art. 149, sesto comma, C.d.A. disciplina solo il caso opposto, dal che si desume una implicita esclusione di quello che ci occupa). In secondo luogo tale intervento non può ricondursi ad alcuna delle fattispecie tipiche di interventi tassativamente previste dalla legge. In terza istanza difetta, in capo all’assicuratore interveniente, qualsivoglia interesse a contraddire attuale, concreto, meritevole di tutela dall’ordinamento. Infine l’intervento deve ritenersi contra legem. Ove il danneggiato agisca nei confronti del responsabile, il dovere dell’assicuratore del danneggiato, ex art. 1917 c.c., risiede nell’obbligo di tenerlo indenne dalle eventuali conseguenze dannose derivanti dalla di lui circolazione. Il caso dell’assicuratore che invece interviene agendo contro il proprio garantito rappresenta un paradosso giuridico irricevibile nell’ordinamento. 

Ogni argomentazione avversa deve respingersi. Non si può parlare di accollo, presupponendo questo istituto  un accordo tra il debitore originario ed il terzo a favore del creditore e non contro lo stesso. Nè può invocarsi la vigenza della convenzione CARD, accordo fra assicuratori da cui il danneggiato – assicurato resta del tutto estraneo anche in considerazione del fatto che tale convenzione deve regolare il caso in cui il danneggiato abbia inteso avvalersi della procedura di indennizzo diretto, e non quello, opposto, in cui abbia deciso di rivolgersi al responsabile del danno.

Anche il “mandato irrevocabile di rappresentanza” stipulato dalla compagnia del responsabile e da quella cosiddetta “gestionaria” non legittima la presenza di quest’ultima nel giudizio intentato contro la prima. Tale mandato in primo luogo, risulta senza reale contenuto, essendo riferito ad una situazione (gestione dell’indennizzo diretto qualora il danneggiato lo richieda) in relazione alla quale è la legge stessa (art. 149 C.d.A.) a prevedere un obbligo di gestione in capo alla compagnia che riceve la richiesta.  Qualora, invece, la richiesta venga indirizzata alla compagnia del responsabile la “procura” non opera, in quanto, in questi casi, costituirebbe il mezzo per eludere norme imperative, finalizzato ed evitare l’esercizio di facoltà legittime e quindi incorrerebbe in nullità ex art. 1343, 1344 e 1418 c.c.. Peraltro anche istituti come la delegazione cumulativa (art. 1268 c.c.) e la espromissione (art. 1272 c.c.) appaiono richiamati senza fondamento, richiedendo una espressa dichiarazione liberatoria del creditore. In conclusione, la “procura” in questione appare in conflitto sia con l’art. 81 c.p.c. (secondo cui nessuno, al di fuori dei casi previsti dalla legge può fare valere in nome proprio un diritto altrui) sia con l’art. 77 c.p.c. (secondo cui il mandatario può stare in giudizio solo in caso di trasferimento di poteri generali, il che ovviamente non avviene nel caso di specie).

La declaratoria di anammissibilità dell’intervento e di invalidità del mandato importa soccombenza in punto alle spese di lite. Scarica la sentenza: mesoraca 03.pdf

 

 

Tribunale di Bologna, sentenza 26 luglio 2012 n. 20.928 est. Candidi Tommasi. L’informazione circa l’antieconomicità delle riparazioni non può considerarsi un onere incombente sul riparatore, essendo il suo compito indicare il costo delle riparazioni.  In ogni caso la omessa indicazione della antieconomicità delle riparazione non rileva ai fini dell’annullamento del contratto, in considerazione del fatto che il mero silenzio, per configurarsi quale dolo omissivo, deve inserirsi in una condotta complessa volta a realizzare l’inganno e preordinata all’indizione dell’errore. Scarica la sentenza: candidi tommasi 05.pdf