Ormai da anni ci sentiamo ripetere che il danno biologico “assorbe” qualsiasi altra voce: il danno relazionale, quello alla capacità lavorativa generica, e alla fine anche quello morale ed esistenziale. Certo le compagnie assicuratrici hanno interesse a sostenere questa tesi: la “compressione” di ogni aspetto della personalità umana alla sola dimensione “statica” è il preludio necessario al taglio dei risarcimenti da ottenersi a colpi di decreti ministeriali. Ma è davvero così? Alcune pronuncie recenti della Suprema Corte ci permettono di dubitarne.

Ad esempio Cass. Civ. 3 maggio 2012 n. 20.192 sottolinea come sia necessario, nella quantificazione del danno, tenere conto di “tutte le proiezioni dannose del fatto lesivo”, con particolare riferimento alla tripartizione (danno biologico, danno morale, danno esistenziale) proposta dalle sentenze 8.827 e 8.828 del 31 maggio 2003. La voce risarcitoria relativa alle compromissioni esistenziali è dunque viva e vegeta, e un elemento a conferma può rinvenirsi proprio negli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni, le cui “maggiorazioni” (di un terzo e di un quinto) devono considerarsi appunto relative a tale voce, e non al “danno morale” la cui quantificazione ulteriore, separata ed esterna non è prevista dalla norma (ma è comunque dovuta). Si consiglia di leggere con attenzione la brillante motivazione della sentenza: Cass. Civ. 3 maggio 2012 n. 20192.pdf

Ulteriore conferma del fatto che qualsiasi danno alla persona non si risolve nel danno biologico ci deriva da Cass. Civ. 16 gennaio 2013 n. 908, una sentenza che rinnova i fasti di una categoria quasi dimenticata: il danno alla capacità lavorativa generica (ovvero all’idoneità a svolgere un lavoro anche diverso da quello abituale, ma confacente alle proprie attitudini). La Suprema Corte, rinvredendo il precedente orientamento, afferma che tale danno patrimoniale non è affatto ricompreso nel danno biologico, e deve al contrario essere valutato separatamente, almeno per le lesioni di maggiore entità, con una quantificazione specifica che tenga conto di quanto sia stata lesa l’attitudine generica della vittima a produrre guadagni attraverso l’attività lavorativa. Ecco la sentenza: Cass. Civ. 16 gennaio 2013 n. 980.pdf

Sta ora ai patrocinatori utilizzare i preziosi strumenti offerti dalla Suprema Corte per giungere ad un apprezzamento esauriente dei danni patiti dai loro assistiti.