Avv. Marco Bordoni

Con sentenza Tribunale di Bologna 14 aprile 2016 n. 20435 la corte felsinea ha rimeditato il precedente indirizzo interpretativo relativo all’ art. 32, commi 3 ter e 3 quater, della L. 24 marzo 2012 n. 27.

La motivazione della sentenza consiste in sostanza in un richiamo pedissequo delle giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza 16 ottobre 2014 n. 235, Corte Costituzionale, ordinanza n. 21 ottobre 2015 n. 242) che pure il Giudice di Merito lascia intendere di non considerare vincolante (“indipendentemente dalla natura strettamente vincolante o meno della pronuncia …”) e di non condividere (stante il richiamo alla necessità di “prendere atto che tale irrisarcibilità è stata espressamente sancita dal legislatore” essendo un mancato adeguamento “distonico all’intero sistema”).

Nonostante la pronuncia sembri dare per scontato che la correzione di rotta rappresenti una soluzione definitiva al problema, in effetti apre una serie di ulteriori questioni interpretative e di coordinamento, relative alla qualificazione della tipologia e dell’oggetto dell’ “accertamento strumentale” a questo punto pacificamente necessario al fine di dare ingresso al risarcimento del danno permanente, questioni di cui occorre in questa sede dare, pur sommariamente, conto.

I problemi di coordinamento si pongono su almeno tre versanti:

a)      la giurisprudenza costituzionale pregressa che, con ben  maggiore profondità argomentativa, ha affermato la natura non negoziabile e non revocabile della tutela del diritto alla salute: “quand’ anche si sostenesse che il riconoscimento, in un determinato ramo dell’ordinamento, di un diritto subiettivo, non esclude che siano posti limiti alla sua tutela risarcitoria, disponendosi ad esempio che non la lesione di quel diritto, per sé, sia risarcibile, ma la medesima purché conseguendo danni di un certo genere, va energicamente sottolineato che ciò non può accadere per i diritti e gli interessi dalla Costituzione dichiarati fondamentali. (…) Dalla correlazione fra l’art. 32 Cost. e l’art. 2043 c.c. è posta quindi una norma che, per volontà della Costituzione, non può limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico” (C. Cost. 14 luglio 1986 n. 184);

b)      la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, esaminando l’impianto dell’art. 139 C.d.A. ante legem ne stabiliva la legittimità, avvertendo però che “la limitazione [del risarcimento spettante in conseguenza alla lesione di un diritto protetto dalla Carta] non può “escludere d’ufficio o limitare in maniera sproporzionata il diritto della vittima a beneficiare di un risarcimento” (Corte di Giustizia UE sentenza del 23 gennaio 2014 Causa n. C317/12).

c)       la dottrina medico legale, che ha sempre affermato la natura ancillare dell’accertamento strumentale nel processo diagnostico, rifiutando, in quanto errata ed arbitraria, qualsiasi interpretazione che potesse declassare la funzione del medico a quella di semplice esegeta di riscontri per loro natura opinabili ed interpretabili. Addirittura la Federazione Nazionale dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri, con parere del 19 giugno 2012 condannava, sotto il profilo deontologico qualsiasi valutazione “parziale e confinata al solo riscontro strumentale”.

Tanto a proposito della necessità di coordinare il nuovo orientamento con lo stato pregresso delle conoscenze scientifiche e tecniche.

Venendo ai problemi interpretativi, essi hanno ad oggetto la tipologia di “prova strumentale” che viene richiesta perché il danneggiato possa accedere al risarcimento del danno da invalidità permanente. Ed in particolare: quale deve essere l’oggetto della “prova strumentale”?

Va in primo luogo osservato che la novella costringe la medicina legale a muoversi in territori mai prima esplorati: sino all’emanazione della legge in esame, il dato strumentale era considerato solo in funzione ancillare rispetto a quello clinico, e veniva quindi preso in considerazione solo nel caso il rilevo clinico non soccorresse. Tipica è l’ipotesi della menomazione interessante l’apparato scheletrico, che, salvo i rari casi dell’esposizione della frattura, può essere correttamente studiata solo attraverso una indagine di tipo radiologico. Ovviamente, nel momento in cui il legislatore ha richiesto una conferma strumentale di un dato clinicamente già acquisito, ha dischiuso un campo di studi mai esplorato dalla medicina in quanto nessun senso avrebbe avuto, sotto il profilo medico, cercare conferme strumentali di circostanze già pacificamente assodate. Questo è, peraltro, il motivo per il quale sono molto rari gli studi che abbiano la finalità di rilevare in maniera diretta il tipo di menomazione di che trattasi: tali studi, infatti, non hanno alcuna utilità diagnostica e il problema del loro approfondimento si pone solo oggi all’unico fine di offrire qualche risposta alla pretesa del legislatore.

In secondo luogo va rilevato che la legge richiede di indagare non la menomazione, ma bensì la lesione. Questo dati risulta infatti, sia dalla lettera del comma 3 ter dell’art. 32 “le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di riscontro clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”, che la giurisprudenza costituzionale invocata dall’ attrice “diagnostica strumentale ai fini della ricollegabilità di un danno “permanente” alle microlesioni di che trattasi” (C. Cost. Ordinanza 21 ottobre 2015).

Sebbene sia lecito all’uomo della strada considerare l’espressione “lesioni” e “menomazioni” equivalenti, tale licenza non è consentita al tecnico del diritto ed al medico legale, che devono ben tenere presente la distinzione fra l’alterazione vera e propria dell’organismo conseguente il trauma (lesione) e il decremento dell’efficienza nella vita biologica delle persona effetto della lesione (menomazione). Legislatore e Giudice delle Leggi parrebbero concordi, stando al dato testuale, nel richiedere un accertamento strumentale non tanto del decremento di efficienza della vita biologica del danneggiato, quanto dell’ alterazione transeunte dell’organismo effetto del trauma.

Come si deve porre l’interprete di fronte a questi problemi?

Le soluzioni possibili sono due.

1. Restrittiva. Volendo procedere con maggior rigore si potrebbe fare aderire la soglia di certezza richiesta dalla valutazione medico legale in ordine al verificarsi del danno (lesione), anche qualora accertabile clinicamente senza ausilio strumentale a quella usualmente pretesa al fine di valutarne le conseguenze (menomazione) per le quali spesso l’ausilio strumentale è indispensabile, esigendo quindi la presenza di un elemento patognomonico “perfetto” (ovvero probante la menomazione in maniera univoca, c.f.r.  Cesare Scandellari, “La strategia della diagnosi”, Piccin, 1981, p.38-39) che riveli in maniera ripetibile e indipendente dall’ accertatore la perdita del bene salute.

2. Temperata. In alternativa si potrebbe concludere che il legislatore ha richiesto agli interpreti due diverse valutazioni, aventi ad oggetto una l’esistenza della alterazione traumatica (lesione) nei casi in cui il supporto strumentale è solo confermativo di un quadro clinico già definito, ed una mirante a verificare le sue conseguenze (menomazione) laddove la verifica strumentale sia effettivamente indispensabile alla diagnosi. Il superamento degli oneri probatori nei due casi richiederebbe (visto che nel primo grado si tratta di un danno già accertato e di una indagine relativa all’evento lesivo, nel secondo di uno da accertarsi e della ricerca altrimenti impossibile delle conseguenze menomative) un diverso grado di severità.

Per i casi del primo tipo (trattasi, lo ripetiamo, di un danno già clinicamente certo, per il quali il dato strumentale è offerto al solo fine di soddisfare il requisito richiesto dalla legge) verrebbe preteso un elemento probatorio complementare  rispetto al (pur di per sé esaustivo, sotto il profilo medico legale) accertamento clinico. Tuttavia questo elemento, stante la natura intrinsecamente transeunte della lesione o lo stato delle conoscenze scientifiche, non potrebbe che avere una caratteristica patognomonica “imperfetta” (per utilizzare la già citata distinzione del Piccin), il che non rappresenterebbe però un problema stante il fatto che, ove positivo, il riscontro strumentale non farebbe che sostenere l’evidenza “visiva”. Di tale natura potrebbe essere, a mero titolo esemplificativo, un accertamento radiologico o ecografico nell’ immediatezza dell’evento traumatico, esami “strumentali” validi al fine di mostrare segni diretti o anche indiretti della lesione.

Valutazione delle soluzioni prospettate. Questa seconda interpretazione “temperata” appare sicuramente preferibile, perché salverebbe sia le esigenze di massima certezza nella prevenzione delle frodi veicolate nella norma, sia il necessario coordinamento con il panorama normativo e scientifico rappresentato nell’esordio della presente riflessione, sia, infine, esigenze di giustizia sostanziale e di omaggio al comune sentire, che deplora la stessa idea secondo cui un danno certamente esistente possa non essere risarcito a priori, stante l’impossibilità scientifica di offrirne una rappresentazione strumentale efficace al 100%.

Si riporta, a mero titolo esemplificativo e pur consci delle peculiarità del caso, un parere reso dal CTU dott. Fabrizio Amato, chiamato a rendere chiarimenti sulla valenza dell’indagine ecografica in ordine alla dimostrazione dell’esito lesivo di un trauma cervicale: “l’ecografia, pur con le limitazioni conseguenti la soggettività dell’operatore, documenta una lesione iniziale (moderato edema diffuso) che conferma l’avvenuto trauma e l’avvenuta reazione locale dei tessuti”. La stessa indicazione viene offerta dal dott Luigi Ferrara il quale osserva: “Nel caso in esame, le lesioni identificate risultano accertate visivamente (visita medico-legale) e supportate “strumentalmente” (esame radiografico del 25/07/2014, esame ecografico del 25 agosto 2014).”. I pareri dei due specialisti, che vengono citati in quanto noti per la loro imparzialità ed autorevolezza, attestano che il mondo della medicina legale ha ben presente la distinzione fra la tipologia di prova da esigersi a dimostrazione di una lesione già clinicamente certa e quella che invece deve essere pretesa per ritenere confermata una menomazione spesso non rilevabile con la sola tecnica clinica.

Le ragioni sopra esposte escludono che elementi come questi (clinica sostenuta da un riscontro strumentale ecografico o radiologico della lesione) possano essere ignorati dal Giudice in sede di applicazione della norma.

Si potrebbe rilevare una ipotetica contraddizione, insita nel subordinare la liquidazione del danno biologico permanente ad un accertamento delle conseguenze traumatiche immediate, ma tale contraddizione è solo apparente, se si considera che il danno di cui trattasi è già clinicamente certo, e ciò che viene richiesto è solo una conferma strumentale ulteriore che sostenga un quadro clinico autonomamente esauriente.

L’ interpretazione temperata, peraltro, trova conforto sia nella lettera della sentenza dell’Alta Corte, sia nella Giurisprudenza di Merito. La Corte Costituzionale, nella già più volte citata pronuncia (16 ottobre 2014, n. 235), recita:

“Tali nuove disposizioni rispettivamente comportano, per tali lievi lesioni: − la necessità di un “accertamento clinico strumentale” (di un referto di diagnostica, cioè, per immagini) per la risarcibilità del danno biologico permanente;”

Si rileva che la Corte non richiede una correlazione patognomonica “perfetta”, e addirittura neppure l’acquisizione agli atti di un supporto iconografico, ma solamente una refertazione che descriva l’esame strumentale effettuato.

Tale inequivoca indicazione crediamo offra argomenti risolutivi a favore della seconda tesi esaminata, da noi sostenuta.

Infine, piace ricordare che le stesse riflessioni sono state fatte proprie dal Tribunale di Trento (sentenza 25 febbraio 2015, n. 247), che interpreta come segue la legge del 2012: “risulta dallo stesso accertamento radiologico compiuto in data 23.06.10 (doc. 3 dell’appellante nel fascicolo del giudizio di primo grado) che l’appellante ha riportato, a seguito del sinistro, la “rettilineizzazione del rachide cervicale”, il che documenta e testimonia che l’appellante ha riportato il trauma distorsivo del rachide cervicale, quest’ ultima riscontrata dall’ accertamento obiettivo espletato dallo stesso CTU.”

In conclusione appare condivisibile la scelta, Giudice di Pace Imola, di focalizzare l’attenzione del Consulente d’Ufficio non tanto sulla (impossibile) valutazione dell’effetto lesivo del trauma dopo che tale trauma ha già prodotto da molto tempo i suoi esiti menomativi, ma bensì sul complesso emergente dalle acquisizioni documentali con l’inclusione necessaria di una conferma strumentale della lesione compatibile con il quadro clinico: “dica il CTU” è il quesito “se agli atti esistano referti di diagnostica strumentale compatibili con il quadro lesivo esitato e clinicamente accertato, così come risultante dalla documentazione agli atti”.

Tale approccio olistico e temperato, inteso a  sussumere l’accertamento strumentale della conseguenza traumatica dell’evento in un processo di valutazione medico legale più ampio, risulta evidentemente preferibile sia per la maggior aderenza al testo della norma e della giurisprudenza costituzionale, sia per il più agevole raccordo con i principi generali giuridici e medico legali che governano la materia. Non possiamo che augurarci che anche i Tribunali, a somiglianza dei Giudici di Prime Cure, possano sposare questo orientamento nella applicazione pratica del proprio, mutato, indirizzo.

Tribunale di Bologna, sentenza 5 aprile 2016 n. 891 est. dott. Iovino; l’assicuratore costituito dà per ammesse le circostanze non specificamente contestate ex art. 115 c.p.c., che si devono ritenere provate specialmente in presenza di un apparato probatorio completo ed esauriente (modulo di constatazione amichevole a doppia firma, foto, etc…) anche laddove il consulente tecnico, con motivazione non convincente, giunga a diverse conclusioni.

Dovendosi quindi liquidare integralmente il danno, spetta ulteriormente all’attore anche il nolo del mezzo sostitutivo, nella misura in cui è provato ed entro il ragionevole limite del costo commerciale usuale del servizio.

Infine laddove la compagnia assicurativa abbia inviato offerta reale dopo la notifica dell’atto di citazione, comunque non correttamente intestata, tale offerta non può costituire argomento atto a giustificare una compensazione parziale delle spese di soccombenza, avendo comunque trovato la ragione attorea sostanziale soddisfazione solo in esito alla procedura giudiziale.

Scarica la sentenza: Iovino 01