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Giudice di Pace di Imola, sentenza 23 maggio 2016, n. 176, est. Maria Florio. “il consulente tecnico ha riconosciuto l’esistenza di un danno biologico permanente di 3,5%, danno che non incide sulla capacità lavorativa specifica. Le spese mediche sostenute e documentate ammontano ad € 2.614,80 e sono state ritenute congrue. Il consulente tecnico ha accertato che la lesività post traumatica accertata è compatibile con il corretto utilizzo di cinture di sicurezza e con l’urto violento subito. Le lesioni alla spalla risultano strumentalmente accertate tramite ecografia, che ha evidenziato una borsite SAD. Le lesioni a livello rachideo, correlate al trauma contusivo distorsivo, risultano clinicamente accertate, in quanto esse non sono strumentalmente accertabili. Pertanto la Grupama va dichiarata debitrice verso XXX per l’importo globale di € 7.134,38. Scarica la sentenza: Florio 01

Tribunale di Bologna, sentenza 19 maggio 2016, n. 20.563, est. Francesca Neri. Il Tribunale di Bologna torna ad intervenire sul problema scottante della necessità di un accertamento anche strumentale (oltre che clinico) delle lesioni conseguenti un sinistro stradale in conseguenza dei disposti di cui all’art. 32, comma tre bis e tre quater L. 27/12.

In questo arresto il Tribunale è chiamato a decidere su un caso particolarmente interessante. Trattasi di due vittime della strada che avevano riportato menomazioni considerate dal CTU, nel processo di primo grado, “strumentalmente accertate” nell’un caso ma non nell’altro. Infatti in questo secondo il CTU aveva riconosciuto una menomazione del 2-3% ritenendo però che “le suddette lesioni sono clinicamente accertate e non strumentalmente e le stesse non sono suscettibili di accertamento strumentale” (v. pag. 8 CTU), ciò nonostante fossero agli atti “RSM al rachide cervico-dorsale e lombo sacrale” rivelante “un rachide cervicale rettilineizzato” (v. pag. 4 CTU) ed elettromiografia “che rilevava aspetti interessamento neurogeno a carico di C3-C4 a destra” (v. pag. 5 CTU).

Il Giudice di Prossimità liquidava ad entrambi i danneggiati il danno permanente ma non il danno morale e questa decisione era oggetto d’appello. Il Giudice di Gravame investe comunque l’intera decisione del proprio esame e, rilevato che una delle due parti appellati aveva ricevuto un giudizio peritale di “non accertamento strumentale” della menomazione, riesamina e definisce l’orientamento esposto nella precedente pronuncia del 14 aprile 2016, già in questa sede commentata.

Ebbene, come proposto nel commento, il Giudice ritiene che la presenza agli atti di accertamenti strumentali confirmativi della lesione, anche se non della menomazioni, sia un elemento sufficiente a consentire la liquidazione, non solo del danno biologico permanente, ma anche, sulla scorta degli insegnamenti della Corte di Cassazione, di un danno morale quantificato in un quarto del biologico. Argomenta il Giudice:

“la prova della loro sussistenza [di danni morali] emerge dalla CTU medico legale espletata nel giudizio di primo grado, dalla quale, sia quanto a [Danneggiato 1] sia quanto a [Danneggiato 2] (nonostante il contrario avviso del CTU circa [Danneggiato 2] emerge altresì l’ accertamento strumentale delle lesioni subite; si vedano in particolare la RMN del 6/6/12 e la elettromiografia del 18/9/12″).”

Ne risulta così sostanzialmente assecondato l’indirizzo “temperato” proposto, in base al quale, tenendo conto del già acquisito dato clinico, e della conseguente mancanza di interesse da parte dei protocolli medici all’acquisizione della conferma strumentale a fini diagnostico terapeutici, apprezza e valorizza gli elementi strumentali comunque incidentalmente acquisiti in quanto confirmativi della esistenza della lesione e del trauma generativo (anche se non della conseguente menomazione), quale elemento necessario ma sufficiente alla liquidazione del danno biologico permanente.

Scarica la sentenza e la CTU:Tribunale di Bologna 2056316 e CTU

Tribunale di Bologna, sentenza 23 febbraio 2016 n. 20.190, est. dott. Arceri. Spettano al danneggiato r.c. auto sia gli interessi legali che la rivalutazione monetaria (ovviamente per le lesioni, ove si utilizzi una tabella già rivalutata, spettano solo gli interessi). Spetta altresì il danno morale (sofferenza subiettiva) anche in presenza di danni fisici non ingenti. Inoltre una valutazione anche ridotta del danno biologico in sede di causa rispetto quella stragiudiziale non giustifica una compensazione delle spese ai sensi dell’art. 92 c.p.c.. Scarica la sentenza: Arceri 02

Articolo avente ad oggetto il rapporto fra cessione di credito e finanziamento scritto per ANEIS;

Avv. Marco Bordoni del Foro di Bologna

1. Il contesto: il risarcimento diretto e l’affermarsi della cessione del credito r.c. auto come prassi commerciale. La stagione successiva all’entrata in vigore della cosiddetta procedura di risarcimento diretto (2006) ha visto accendersi un dibattito particolarmente animato sul tema della cedibilità del credito in materia di R.C. auto. Il confronto è stato originato dalla decisione delle parti assicurative di sfruttare la posizione dominante nella filiera della gestione del sinistro ottenuta con la nuova disciplina per ridisegnare secondo le proprie esigenze il mercato dell’autoriparazione attraverso la pratica della “canalizzazione” e dalla reazione delle imprese artigiane di carrozzeria che, singolarmente o attraverso forme associative di diversa natura, hanno tentato di opporsi a questo tipo di ingerenze. Il legislatore e le autorità garanti, nonostante la normativa antitrust nazionale (art. 2 della nostra L. 10 ottobre 1990 n. 287) vieti l’ abuso di posizione dominante (ne abbiamo parlato qui) si sono disinteressati del problema, quando non hanno addirittura secondato le aspirazioni delle parti assicurative, in nome a quel “contenimento dei costi” che da qualche tempo non è più un principio di prudenza, ma un Moloch insaziabile a cui qualsiasi diritto, sia esso patrimoniale che non, può essere sacrificato. In ogni caso il confronto si è concluso fra il 2010 ed il 2013 con la ripetuta affermazione, da parte della Suprema Corte, del principio della libera circolazione del credito risarcitorio in r.c. auto, patrimoniale (fra le altre, Cass. Civ. 10 gennaio 2012 n. 51 e n. 52), e non (Cass. Civ. 3 ottobre 2013, n. 22.601). In seguito, nonostante la giurisprudenza di legittimità fosse stata chiara nell’escludere qualsiasi possibilità di limitazione della circolazione di questo tipo di crediti (”Non solo il credito al risarcimento dei danni da un sinistro stradale, e per giunta con riferimento non a danni alla persona ma solo alla vettura, non può qualificarsi strettamente personale, ma deve escludersi che esista una norma di legge che direttamente (o, almeno indirettamente) vieti una tale possibilità.”  Cass. Civ., 13 maggio 2009, n. 11.095) le parti assicurative non hanno rinunciato a saggiare la resistenza dell’istituto sia attraverso limitazioni convenzionali inserite nelle polizze (limitazioni tuttavia non opponibili, data la natura non contrattuale della prestazione assicurativa da responsabilità civile nel frattempo dichiarata dalla Cassazione con ordinanza 13 aprile 2012 n. 5.928), sia attraverso l’utilizzo, palesemente strumentale, di normative speciali che anche al primo colpo d’occhio non mostrano alcuna attinenza con la pratica della cessione di credito in r.c. auto, come quelle che regolano l’attività finanziaria (art. 106 segg. D.L. 1 settembre 1993, n. 385, noto come Testo Unico Bancario, TUB). E’ opportuno esaminare questa ultima obiezione visto che, a differenza delle consimili, ha (abbastanza sorprendentemente) raccolto qualche consenso presso i Giudici di Merito (in particolare si veda Tribunale di Venezia 13 febbraio 2013 n. 316).

2. La cessione di credito in r.c. auto quale “attività finanziaria”: la tesi favorevole. Pur essendo declinato dai diversi interpreti assicurativi in vari modi, il percorso argomentativo di queste obiezioni è comune: l’art. 106 del TUB riserva l’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e “con carattere di professionalità” agli iscritti ad un determinato albo; l’art. 3 del D.M. (attuativo) 7 febbraio 2009 n. 29,  connota l’ “acquisto di crediti” come attività finanziaria, ergo il soggetto che si rende cessionario di un credito r.c. auto deve necessariamente possedere l’abilitazione prevista dal TUB. La mancata iscrizione nell’apposito elenco provoca la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative (ex art. 1418 c.c.) e quindi il rigetto della domanda risarcitoria.

3. La cessione di credito in r.c. auto quale attività finanziaria: la tesi contraria. La valutazione del pregio di queste censure non può essere unitaria, ovvero deve variare a seconda delle caratteristiche specifiche del cedente e del cessionario. In linea generale possiamo dire, comunque, sin da ora, che le riserve sono infondate salvo l’unico caso in cui il cessionario tragga un utile diretto dall’operazione stessa sotto forma di interesse, caso che possiamo presumere assai raro quando non del tutto inesistente, ma nel quale chiaramente si configurerebbe attività finanziaria. In tutte le altre situazioni vari percorsi argomentativi ci portano comunque all’unica soluzione della infondatezza della doglianza.

3.1 Nel caso, ad esempio, il cedente il credito sia, come comunemente avviene, un consumatore (Art. 3 Codice del Consumo) la casistica cade sotto la sezione apposita del Testo Unico Bancario: quella contenuta nel capo II, Titolo VI che disciplina appunto il “credito ai consumatori”. A differenza dell’art. 106, l’art. 122 TUB (che appunto disciplina i contratti fra erogatore e consumatore) delimita il perimetro della attività di finanziamento ed afferma che non si ha “credito al consumo” in caso di “finanziamenti nei quali è escluso il pagamento di interessi o di altri oneri” (lettera C) e “dilazioni del pagamento di un debito preesistente concesse gratuitamente dal finanziatore” (lettera I).

3.2. Qualora, poi, il soggetto cessionario sia una officina artigiana di autoriparazione, la stessa lettera dell’art. 3 del D.M. (attuativo) 7 febbraio 2009 n. 29 (relativo all’ “acquisto di crediti”) viene disattesa, fermo il fatto che la carrozzeria non corrisponde alcun prezzo a fronte del trasferimento del diritto. Come noto, essendo la cessione un contratto a causa variabile (così Cass. Civ. 15 maggio 1974 n. 1936) lo schema contrattuale a cui si richiama non è necessariamente quello della vendita, e di certo non lo è in caso nel quale non si realizzi alcun pagamento di prezzo né alcun profitto in capo al cessionario. Né vale obiettare che l’artigiano consegua infine un vantaggio commerciale dalla cessione (consistente nell’ ottenere un debitore solvibile presso il quale pretendere il compenso del proprio lavoro) né che, avendo il debito da responsabilità civile la natura di debito di valore, sarà possibile infine, in caso di ritardo nell’adempimento, ottenere il pagamento di interessi e di danno da ritardo. Infatti il primo vantaggio non è certo assimilabile ad un “prezzo”, mentre il secondo attiene alla natura del debito ceduto e non discende in alcun modo dall’operazione di cessione (tanto è vero che è che il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria è dovuto solo in caso di ritardo nell’adempimento del debitore).

3.3. Parzialmente diverso è il caso in cui a rendersi cessionario del credito sia una società di servizi o una realtà associativa differente rispetto a quella che ha provveduto all’esecuzione dei lavori di riparazione e della fattura. In questo caso la possibile effettuazione di una operazione di cassa dal cessionario al riparatore potrebbe, in astratto, trarre in inganno l’interprete facendogli credere si sia in presenza di una operazione di finanziamento. Tuttavia tale impressione verrà fugata sol che si fermi l’attenzione su due particolare essenziali: l’ (eventuale) onerosità, per il cedente, della prestazione resa e la natura prevalente o accessoria, dell’acquisto del credito rispetto al complessivo servizio offerto dal cessionario.

3.3.a. Sotto il primo profilo la gratuità dell’operazione vale, di per sé, ad escludere non solo la professionalità della stessa “il carattere imprenditoriale dell’attività nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l’erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti” (Cass. Civ., sentenza 19 giugno 2008, n. 16.612), ma anche che l’acquisto, in qualsiasi forma, del credito, possa integrare “finanziamento”. Che l’attività di finanziamento, così come intesa dal Testo Unico Bancario, sia da assumersi quale mutuo oneroso, e non gratuito, risulta palese da un esame anche superficiale delle fattispecie decise dalla giurisprudenza penale di Cassazione in argomento (quella civile, significativamente, non si è pronunciata). Si veda il seguente elenco:  Cass. Pen. 13 dicembre 2013 51.744 riguarda un caso di finanziamenti a tassi usurari; Cass. Pen  19 settembre 2013 n. 44.142 a proposito di prestiti erogati da associazioni mafiose a tasso usurario; Cass. Pen. 12 novembre 2009 n. 7.986 esamina una fattispecie di appropriazione indebita a fini usurari; Cass. Pen. 10 giugno 2008 n. 29.500 su di un caso di prestiti onerosi collegati ad operazioni di riciclaggio.

Particolarmente interessante  Cass. Pen.  27 novembre 2012 n. 47.559, avente ad oggetto la concessione di prestiti finalizzati alla vendita di capi di abbigliamento. La Suprema Corte verifica che  a fronte della consegna dei capi, i clienti “si impegnavano a pagare un prezzo superiore a quello dell’effettivo valore della merce acquistata”: da qui la ritenuta operazione finanziaria e l’implicita affermazione della necessaria onerosità del mutuo al fine di ritenere sussistente il “finanziamento” di cui alla fattispecie prevista dall’art. 106 del Testo Unico Bancario. Come si vede si tratta di un complesso di attività e di una finalità della norma del tutto estranee alla prassi che si verifica nel settore dell’ rc auto in cui la società di servizi e la realtà associativa semplicemente si impegnano a saldare sull’unghia la fattura di riparazione senza trarre alcune vantaggio. Siamo, evidentemente, di fronte ad una norma di natura preventiva di contrasto criminale, intesa ad evitare che soggetti non controllati, aventi a disposizione somme di dubbia origine, possano intervenire nel mercato del prestito ad interesse sottraendosi ai controlli della Banca d’Italia traendone un indebito profitto. Tale è la conclusione a cui è pervenuto anche il Tribunale di Venezia, che osserva: “Giova ricordare che il tratto caratteristico del contratto di finanziamento che costituisce una figura negoziale è un contratto consensuale, oneroso ed atipico, che assolve una funzione creditizia attraverso la consegna di una determinata quantità di denaro che costituisce l’oggetto di un’obbligazione del finanziatore con l’impegno per il ricorrente di restituirli ad una determinata scadenza dietro versamento di un interesse. Consegna che nella specie non è contemplata nella convenzione. In essa le parti, dopo avere delineato nelle premesse le finalità contrattuali sottese all’operazione individuata, convengono, da un lato, il trasferimento del credito vantato dal cedente in conseguenza del sinistro stradale avvenuto in data … nei confronti di qualsiasi obbligato o coobligato solidale ex lege o  in forza di obbligazioni contrattuali e, dall’altro, l’obbligo del cessionario di pagare il costo dei lavori di ripristino del veicolo alla conclusione dei lavori e dietro presentazione di idonea fattura. L’accordo nei termini sopra riportati non prevede alcuna consegna di denaro né è configurabile neppure in astratto una specie di finanziamento da parte della cessionaria. … Lo strumento della cessione è utilizzato, come traspare dall’esame della convenzione, al recupero del credito vantato dalla carrozzeria nei confronti del proprio cliente nella specie il soggetto danneggiato. La cessione è gratuita per quest’ultimo, non essendo previsto per il cedente alcun corrispettivo di sorta.” (Tribunale di Venezia, sentenza 22 agosto 2011 n. 1996 est. Caprioli): si fa presente che questa sentenza è stata confermata da Tribunale di Venezia, 17 maggio 2013 n. 5.682,  sentenza successiva all’ unico precedente sopra citato e favorevole alla tesi in questa sede contestata, che quindi è disatteso dalla giurisprudenza consolidata del Foro).

3.3.b. Quanto alla natura prevalente od accessoria della prestazione offerta dalla società di servizi o dalla realtà associativa, il Tribunale di Milano ha esaminato al questione rifacendosi implicitamente agli univoci arresti giurisprudenziali che, in tema di contratti misti, affermano la prevalenza del contratto prevalente sotto il profilo dell’interesse economico (fra le altre, Cass. Civ. 12 dicembre 2012, n. 22.828). I giudici milanesi osservano che, nella prassi, la cessione del credito è strumento ancillare, sotto il profilo economico, rispetto ad interessi decisamente prevalenti quale quello dell’artigiano di ottenere il prezzo del lavoro svolto e quello del cedente di affidare ad un soggetto terzo non solo l’incasso della somma, ma un complesso di attività che comprendono (a mero titolo esemplificativo) la valutazione del danno, lo svolgimento di accertamenti sulla dinamica del sinistro, l’assistenza legale (stragiudiziale e, se del caso, giudiziale) necessaria al recupero del risarcimenti, l’incarico di periti e/o esperti nella ricostruzione del sinistro. Tutte queste attività connesse sono prevalenti rispetto alla mera operazione di cassa, che ha natura esclusivamente strumentale, il che è indirettamente confermato dal fatto che da quelle, e non da questa, i professionisti e gli artigiani coinvolti traggono un utile. Scrive il Giudice meneghino: “E’ illuminante, a tal proposito, Non il mero acquisto di crediti costituisce di per sé attività di finanziamento, ma bensì l’acquisto di crediti che sia connesso ad attività di finanziamento. La convenzione in esame non ha per esclusivo oggetto la cessione di credito risarcitorio, inerendovi altresì l’istruttoria della pratica risarcitoria al fine della definizione dell’entità del credito, quantificabile all’esito del compimento dei lavori di ripristino (cfr. punto 4 della convenzione). (…) Dal complesso delle pattuizioni contenute nella convenzione in esame si ricava che esso non riguarda soltanto l’anticipazione del pagamento delle spese di ripristino del mezzo sinistrato da parte della cessionaria, la quale ne viene compensata con il trasferimento della titolarità del credito risarcitorio, atteso che ricomprende l’attività di designazione della carrozzeria e/o autofficina di riparazione, di conferimento del relativo incarico, della gestione della pratica di risarcimento stragiudiziale e/o giudiziale, essendo la cessionaria una attività avente ad oggetto la produzione di servizi qualificati connessi alle attività peritali (punto 5 della connessa convenzione). La causa concreta della convenzione (vale a dire lo scopo economico pratico perseguito dalle parti) non è solo quella di esonerare il cedente dal dover sborsare nell’immediato la liquidità per la riparazione del mezzo, ma anche quella di fargli ottenere il disbrigo di una serie di operazioni connesse all’ottenimento dell’indennizzo o del risarcimento del danno. In altre parole la funzione dell’operazione non appare quella di sovvenire il cedente con l’anticipazione del denaro necessario al pagamento delle riparazioni, essendovi altresì previste le attività necessarie al conseguimento del ristoro o dell’indennizzo, utili ad agevolare la procedura di liquidazione, non sempre agevole per il soggetto privato. La cessione di credito costituisce strumento finalizzato al recupero del credito vantato dal carrozziere nei confronti dell’assicurato, ed è per questi gratuita, non essendo stabilito a suo carico alcun corrispettivo. Detta cessione, peraltro, è pro solvendo, dunque può avvenire che il cedente non consegua utilità economica dalla cessione, nel caso di mancato pagamento dell’indennizzo, dovendo rimborsare il cessionario di quanto da questi anticipato; in questa prospettiva, la cessione di credito non costituisce mera concessione di finanziamento (erogazione indiretta di denaro in favore del cedente) egli effetti dell’art. 106 D. vo lgsvo cit. e dell’art. 3 DM 29/09. Va altresì considerato che l’attività finanziaria svolta abusivamente costituisce reato ai sensi dell’art. 132 D.vo Lgsvo cit., di cui la necessità di una interpretazione rigorosa dei casi che alla norma possono ricondursi.” (Tribunale di Milano, sentenza 19 marzo 2015 n. 24.538).

4. Proprio a proposito delle conseguenze penali previste dal TUB per i trasgressori del disposto di cui all’art. 106 occorre rimarcare che non solo non è dato trovare alcun precedente in termini di processo celebrato a carico di un artigiano, di una associazione o di una società di servizi, ma, di contro, va notato come la trasmissione di atti processuali all’attenzione degli inquirenti da parte del Giudice di Pace di Bologna (ex art. 372 c.p.p.) ha prodotto una informativa (la n. prot. 0153620/15 del 15 maggio 2015) nella quale il Nucleo di Polizia Tributaria di Bologna, svolti i controlli di rito, afferma che il trasferimento del credito a favore di una cooperativa di autoriparatori non integra attività di finanziamento in violazione del TUB in quanto “l’ oggetto dei presenti contratti ha come fine quello di prestare un servizio alle carrozzerie associate e a chi ha subito un sinistro, provvedendo al pagamento della fattura relativa alla riparazione ed occupandosi della richiesta di risarcimento, ottenendo come corrispettivo il pagamento delle competenze per la gestione della pratica liquidate dall’assicurazione.”. L’esito di questo accertamento apre la possibilità, ai soggetti che vedano  attribuirsi ingiustamente il grave reato punito dall’art. 132 TUB, di tutelarsi con gli strumenti offerti dall’art. 368 c.p.p..

5. Conclusivamente, tenuto conto anche della copiosa giurisprudenza di merito non citata diffusamente in questa sede per motivi di necessaria concisione ( si vedano Giudice di Pace di Bologna, sentenza 14 agosto 2008, n. 7895, est. Cosenza, Giudice di Pace di Bologna, sentenza 12 dicembre 2007 n. 11992 est. Pederzoli, Giudice di Pace di Bologna, sentenza 17 aprile 2008, n. 10.561 est. Camerani, Giudice di Pace di Bologna, sentenza del 16 ottobre 2009, n. 29.798 est. Monici, Giudice di Pace di Bologna, sentenza 29 gennaio 2008 n. 941 est. Caretti, Giudice di Pace di Bologna, sentenza 13 gennaio 2015, n. 171 est. Pederzoli, Giudice di Pace di Bologna, sentenza parziale 23 gennaio 2015 n. 292 est. Caretti) si deve concludere affermando (con la sola eccezione dell’infrequente caso in cui il cessionario abbia erogato somme percependo degli interessi quale compenso dell’operazione) l’assoluta estraneità fra la cessione di credito r.c. auto, in qualunque forma effettuata, e l’attività di finaziamento prevista dall’art. 106 TUB.

Giudice di Pace di Bologna, sentenza 14 marzo 2015, n. 969 estensore dott. Francesco Fiore Il danno alla persona per lesioni di lieve entità è risarcito “a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’ esistenza di una lesione”: ciò significa che il medico legale può valutare strumentalmente ma anche “visivamente” la sussistenza della lesione, cioè a seguito di indagine obiettiva ed in osservanza agli abituali criteri valutativi utilizzati dalla comunità scientifica (anche prima dell’entrata in vigore della legge 27/12). Il danno morale va liquidato in aggiunta al punto biologico tabellato, in ossequio agli indirizzi del foro e della Suprema Corte. Scarica la sentenza: fiore 04

Dal sito di ANEIS

Una bellissima sentenza del Tribunale di Padova icon Tribunale di Padova, sentenza causa RG 2.707 2014 chiarisce definitivamente l’interpretazione corretta da dare alla Legge 27/12. Vi invitiamo a leggere la ricca argomentazione, limitandoci, in questa sede, a riportare uno stralcio particolamente significativo: “l’intento del legislatore, quale risulta da anche dalla relazione illustrativa della novella, è evitare risarcimenti in caso di effetti lesivi “meramente soggettivi” e cioè solo riferiti dal paziente e non obiettivamente constatabili, per scongiurare eventuali speculazioni del danneggiato. Il legislatore richiama il medico e il giudice alla necessità di un accertamento rigoroso delle lesioni, ricordando che possono valorizzarsi ai fini risarcitori solo lesioni suscettibili di accertamento medico legale. Non è affatto necessario interpretare la novella nel senso di avere posto la legge contro la scienza medica e nemmeno nel senso che il legislatore abbia voluto determinare una modalità esclusiva nell’accertamento delle lesioni del danno alla salute. Un’interpretazione letterale delle disposizioni porterebbe a risultati non accettabili, perché escluderebbe, senza alcuna giustificazione, la risarcibilità di un danno alla persona effettivamente sussistente secondo la scienza medica.” 

Giudice di Pace di Bologna, sentenza 21 febbraio 2014, n. 1.917, est dott.ssa Caretti; in presenza di una danno biologico con invalidità permanente minore ma comunque di significativa entità (nello specifico 6%), la componente di danno biologico riconducibile alla sofferenza soggettiva può essere liquidata nella misura del 50%. Rimborsabili le spese per l’assistenza stragiudiziale ricevuta. Scarica la sentenza: Caretti 03

Giudice di Pace di Bologna, sentenza 17 febbraio 2014 n. 1.045, est. avv. Ettore Braccio; anche in presenza di un danno biologico da invalidità permanente minore è risarcibile il danno morale; sono rimborsabili i costi sostenuti per affrontare un procedimento di mediazione conciliazione disertato dalla controparte. Scarica la sentenza: Braccio 01

Giudice di Pace di Bologna, sentenza 28 gennaio 2014, n. 443, est. avv. Concetta Riverso; il danno da sofferenza può essere liquidato in aggiunta al danno biologico tabellato, nella fattispecie (invalidità permanente pari al 3%) nella misura di un terzo. E’ risarcibile il danno patrimoniale relativo alla spesa sostenuta dal danneggiato (libero imprenditore) nel periodo di inabilità totale per farsi sostituire sul lavoro da altro professionista. Scarica la sentenza: Riverso 01

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Giudice di Pace di Bologna, sentenza 25 marzo 2014, est. dott. Francesco Fiore. Il Giudice di Pace di Bologna interviene nuovamente sulla questione della disapplicazione dell’indennizzo diretto con una sentenza manifesto che chiarisce molti aspetti controversi.

In primo luogo viene negata la legittimità dei cosiddetti “interventi volontari” e affermato il principio electa una via, non datur recursus ad alteram, da cui discende che, in seguito all’azione giudiziale del danneggiato contro il responsabile civile, la compagnia “gestionaria” non ha più alcun interesse a contraddire. Viene quindi esaminata la questione dei mandati CARD: “la giurisprudenza formatasi in tutta Italia” osserva il Giudice “ha rilevato la nullità delle costituzioni di compagnie che pretendevano legittimazione processuale sulla base di un mandato come quello prodotto”: L’osservazione è rafforzata da una minuziosa ricognizione giurisprudenziale.

L’obiezione principale sollevata dal Giudice fa perno, però, sulla presenza di un palese conflitto di interessi fra la posizione della compagnia “del responsabile” (supposta delegante) e quella della compagnia “gestionaria” supposta delegata, nonchè delle difesa tecnica da questa fornita. La Cassazione (Sent. 26 luglio 2012 n. 13.204) ritiene nulla l’attività processuale posta in essere in simile situazione di conflitto. Il conflitto, peraltro, si estende anche al danneggiato, visto che la stessa compagnia chiamata a fornire assistenza tecnica nella fase precedente il giudizio (DPR 254/06 art. 9) pretende, in spregio alla garanzia prestata ex art. 1917 c.c., di opporsi all’assicurato in sede processuale. Anche questo orientamento viene corroborato da copiosa citazione giurisprudenziale. Secondo il Tribunale di Torino (sentenze 389/13 e 4618/13) gli accordi ANIA “non possono legittimare l’esercizio di diritti in contrasto con le norme che disciplinano la materia”. Peraltro l’accordo CARD non è inquadrabile nemmeno nello schema dell’art. 1268 c.c. in quanto “non risulta avere ad oggetto l’assunzione del debito altrui con subentro nella medesima posizione del debitore originario e, oltretutto, non risulta prevedere il consenso del delegatario” (nel senso della necessità del consenso di tutte le parti il Giudice di Pace cita Cass. Civ. 19.090/07). Secondo il Tribunale di Prato (sentenza 744/13) l’intervento della “gestionaria” difetta di interesse ad agire, mentre la procura CARD è un atto insufficiente a legittimare l’esercizio dei diritti altrui al di fuori dei casi previsti dalla legge.

Nel merito, sulla scorta di copiosa giurisprudenza pure citata dal Giudice di Pace, viene riconosciuta la legittimità della cessione del credito r.c. auto. Viene pure affermata la risarcibilità delle spese conseguenti il fermo forzato del mezzo (nella specie: nolo di mezzo sostitutivo).

Scarica la sentenza: Fiore 03

Giudice di Pace di Bologna, sentenza 10 giugno 2013, est. Avv. Vittorio Boni. Il Giudice di Pace Avv. Boni si era già espresso qui sul problema della legittimità dell’intervento volontario e del mandato CARD della compagnia “gestionaria” in indennizzo diretto. Oggi, di fronte ad un caso particolarmente abnorme (le parti coinvolte nell’incidente entrambe costituite in giudizio in presenza di contestazioni sulla dinamica, e la compagnia dell’attore che interviene non per tenerlo indenne degli effetti del giudizio, ma per sposare la linea processuale degli avversari…) il Giudice ritorna in argomento fornendo un’analisi lucida ed approfondita. Il “mandato CARD”, secondo l’avv. Boni, postula l’adesione del danneggiato alla procedura di indennizzo diretto. In mancanza (motiva il Giudice) “la normativa convenzionale non può costringere l’attore a difendersi dalla sua Compagnia di Assicurazioni che d’altronde non ha evocato in giudizio e con la quale è legato da vincoli contrattuali ex art. 1917 c.c.” La pretesa della compagnia “gestionaria” di partecipare ad un simile giudizio si pone “in netto contrasto con l’art. 122 del più volte citato D. Lgsl. 209/05 e dell’art. 1917 c.c. in forza dei quali essa avrebbe dovuto intervenire a supporto del proprio assicurato e non contrastarlo”. Inoltre la compagnia del danneggiato appare priva di interesse ad agire, dal momento che le sue conclusioni non avrebbero potuto costituire domanda autonoma in autonomo procedimento. Scarica la sentenza: Boni 03